Patti di resa di una città assediata. Il caso di Catanzaro del 1285

Durante la ventennale Guerra del Vespro la Calabria, rimasta sotto il dominio angioino, è investita da una delle tante offensive dei Siculo-Aragonesi, che cercavano di conquistare territori sul Continente. La città di Catanzaro è da tempo da loro assediata, senza avere grandi speranze di spezzare il detto assedio. Il signore di quella città, Pietro Ruffo di Calabria, conte di Catanzaro, insieme a trenta nobili e probi uomini della stessa Terra indicati per nome, stabilisce, per interposizione di alcuni nobili e religiosi uomini, con Guglielmo Calcerando di Cartelliano, Capitano e Vicario generale del re Pietro di Aragona, una tregua nell’ assedio di Catanzaro, e segna in venti capitoli le varie condizioni della stessa. Con essi si permette al Conte Ruffo ed agli abitanti di Catanzaro di chiedere aiuti di uomini e soldati a Roberto, Conte di Artois, Baiulo del regno, per continuare le ostilità; altrimenti, non ottenendo il soccorso, essi dovranno lasciare la Terra, tranne per coloro che volessero passare sotto il dominio del Re di Aragona, i quali non saranno privati delle loro possessioni. Le due parti promettono di non recarsi, durante la tregua, danno a vicenda, potendo anzi gli abitanti della Terra portare vettovaglie e raccogliere le messi nel territorio.

Di seguito propongo un mio sunto in italiano del lungo documento notarile che sancisce la detta tregua. La pergamena originale è conservata nell’Archivio della Corona d’Aragona in Barcellona, ed è stata pubblicata in Codice Diplomatico dei Re Aragonesi di Sicilia …, a c. di G. La Mantia, vol I, Palermo 1917.

Nel nome del Signore, Amen. Nell’anno dalla Sua incarnazione 1285, giovedì, 21 giugno, tredicesima indizione, presso Catanzaro, al tempo della reggenza dell’illustre signore Roberto conte d’Angiò, reggente generale del regno per conto del successore del fu Carlo re di Gerusalemme e di Sicilia, nell’anno primo della sua reggenza, amen. Noi Pietro Ruffo di Calabria, per grazia di Dio e del re, conte di Catanzaro, con la presente scrittura rendiamo noto e dichiariamo – alla presenza di Ruggero di Cosenza giudice della città di Catanzaro e Giovanni de Archipesbitero pubblici notai della stessa città, nonché dei sottoscritti nobili e probi viri di Catanzaro: (seguono 30 nomi), che qui sono stati convocati – quanto segue.

Considerato che il nobile ed egregio signore Gugliemo Galzerando de Carilliano – consigliere e familiare del re d’Aragona, maresciallo del regno di Sicilia, regio vicario, e provvisore dei castelli di Sicilia al di qua del fiume Salso, nonché dal Faro fino ai confini delle sante terre della Chiesa di Roma, -assedia col suo esercito per conto del re d’Aragona la nostra terra di Catanzaro – costringendo tanto noi quanto gli uomini di detta terra a prestargli obbedienza, per contro del re d’Aragona; danneggiando e affliggendo in diversi modi per molti giorni noi e gli uomini di detta terra che si opponevano al saccheggio delle vigne e dei raccolti – attraverso alcuni nobili e religiosi addiveniamo alla suddetta tregua col signor Capitano.

Noi e tutti gli uomini della terra di Catanzaro e dei suoi tenimenti, nonché i forestieri ivi dimoranti, decidiamo l’invio al signor legato del re lettere o messaggeri, per richiedere il suo soccorso. Entro il termine di 40 giorni, i messi potranno viaggiare sicuri per mare e per terra nei luoghi soggetti al suddetto re d’Aragona, e se saranno catturati dai fedeli del detto re, il capitano Guglielmo farà risarcire ogni danno eventualmente loro arrecato e li farà liberare.

 Se entro tale termine stabilito, l’aiuto e i rinforzi richiesti dovessero pervenirci, noi potremo difenderci e combattere in campo contro il suo esercito, ovunque il detto Capitano si trovi al di qua del Faro. Se, invece, tanto noi che la signora contessa nostra moglie e tutti gli uomini che vivono nella predetta terra di Catanzaro, non potessimo ottenere, entro il termine prefissato, i suddetti aiuti, potremo uscire liberi dai territori soggetti al re d’Aragona, di persona e con i propri beni.

Tutti gli abitanti di detta terra che non volessero partire, ma rimanere in sicurtà sotto l’autorità e in fedeltà del re d’Aragona, abbiano libera scelta e siano liberi di andare e venire alle terre soggette al detto re.

Che nessuna punizione sia inflitta a noi, né a nessun altro, per la fedeltà che abbiamo finora tenuta nei confronti del nostro signore re Carlo, e dei suoi eredi, o per qualsiasi danno o lesione inflitta da noi agli uomini, del suddetto Capitano, o del re d’Aragona, nelle loro persone e proprietà, durante la presente guerra, senza dare ascolto alle lamentele manifestate contro di noi o contro gli stessi abitanti della nostra terra di Catanzaro, né gli uomini di Catanzaro siano privati ​​dei beni che possiedono nella nostra terra, senza rispettare la legge.

Che tutti gli abitanti della nostra terra di Catanzaro, cittadini e stranieri che siano, possano tornare sani e salvi alle loro case e ai loro possedimenti, che avevano al tempo del nostro re Carlo, lo stesso per quelli di Nicotera, Neocastro, Squillace, Maida, Martirano, Solano e qualsiasi altra località; e se i loro beni sono trattenuti da altri, o presi e occupati da qualcuno, lo stesso signore capitan Guglielmo promette di farli fatti salvi eventuali diritti di altri. Lo stesso capitano ci promette fermamente, con tutto il suo esercito, di partire subito da tutto il territorio di Catanzaro, dopo aver preso le precauzioni stabilite dal presente trattato.

Né egli infliggerà danni o molestie ai nostri vassalli per mano degli uomini del suo esercito, o di altri della nazione del re d’Aragona, per terra o per mare. Allo stesso modo, entro il termine dei suddetti quaranta giorni, noi e gli abitanti della nostra terra di Catanzaro, non infliggeremo danno o molestie ai nostri vicini o ad altre persone o cose che siano tornati alla fede del signore re d’Aragona.

 Abbiamo anche promesso allo stesso signore il capitano Guglielmo, in seguito alla suddetta tregua, che noi e i predetti abitanti di Catanzaro, sia cittadini che stranieri, non faremo nuove fortificazioni nel castello e nel territorio cittadino, e non introdurremo in esso in foraggio o vettovaglie, e anche tutti le messi che nel frattempo raccoglieremo, saranno conservate nei luoghi consueti o in quelli soggetti al re d’Aragona. Potremo, tuttavia, noi e gli uomini di Catanzaro, introdurre le provviste di cui abbiamo bisogno per la sopravvivenza e il mantenimento degli animali, e degli abitanti della detta terra, solo per il tempo dei quaranta giorni, prestando giuramento di ciò a  trenta uomini della terra di Catanzaro.

Conveniamo anche con lo stesso capitano che noi e gli abitanti della detta terra di Catanzaro e gli altri nostri vassalli potremmo mietere e raccogliere i nostri raccolti. E che sarà lecito per noi e per gli abitanti di Catanzaro, sia cittadini che stranieri, di viaggiare e tornare sani e salvi entro i suddetti termini, secondo la nostra volontà per i territori di Catanzaro, Roccaffluca, Tachina, Taverna di Barberia, e Genocastri.

I predetti trenta uomini di Catanzaro, sopra nominati, hanno giurato sui santi Vangeli di Dio, sulla nostra fede e lealtà, alla presenza del predetto giudice e notaio, di osservare la tregua, gli accordi predetti, senza frode o inganno e alcuna diminuzione. E se dovesse accadere che noi violassimo quanto promesso e agissimo contro la detta tregua, tutti gli abitanti della terra di Catanzaro saranno sciolti da tutti gli obblighi di fedeltà e di omaggio cui sono legati nei nostri confronti, e liberi di tornare alla fedeltà verso il re d’Aragona.

 Dall’altra parte, il signore Capitano Gugliemo e tutti i nobili suoi ufficiali (seguono 10 nomi) , promettono e giurano sui santi Vangeli di Dio, toccando letteralmente il libro, che osserveranno fermamente senza inganno per noi e per le persone che vivono a Catanzaro, la tregua, gli accordi e i patti sopra menzionati; e sotto lo stesso giuramento, per la sua fede e legalità, detto Capitano ci promette di prendersi cura che il re d’Aragona, sua moglie, e il signore Giacomo loro figlio, adempieranno tutto quanto sopra.

Noi, predetto conte e i predetti abitanti di Catanzaro, promettiamo, sotto lo stesso giuramento, di non apportare ai fedeli del detto signore il re d’Aragona, nel predetto termine, alcun danno in cose o persone. Per cui, a garanzia della Curia del predetto re e del predetto Capitano, viene redatto il presente atto pubblico per mano di Giovanni de Archipresbitero notaio in Catanzaro, a cui viene apposto il nostro sigillo e quello del Capitano Gugliemo.

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