1349 – Battaglia di Melito (NA). Angioino-napoletani contro Angioino-ungheresi

Arcieri a cavallo ungari. Chronica Pictum, 1325-1360. Ms. National Széchényi Library

Premessa

Il Regno di Napoli era devastato dalle lotte dinastiche che avevano visto, nel 1345, l’assassinio di Andrea del ramo ungherese dei d’Angiò, consorte della regina Giovanna I allora regnante, ad opera di congiurati probabilmente ispirati dalla stessa regina. Dopo alterne vicende, il fratello di Andrea, Luigi, re d’Ungheria, calò nel Regno di Napoli con un potente esercito costituito da Ungari (come li chiamavano le cronache del tempo), Tedeschi e compagnie di ventura. Nel 1348, avendo compiuto la sua vendetta facendo impiccare ad Aversa alcuni dei nobili congiurati, fece ritorno in patria, non senza essersi assicurato il controllo di numerose città e piazzeforti del Regno. La regina Giovanna, dopo essere riparata in Provenza per sfuggire all’ira dell’Ungherese, fece ritorno a Napoli accompagnata dal nuovo consorte, Il cugino Luigi di Taranto, il quale, alla testa del baronaggio napoletano, intraprese la riconquista dei territori tenuti dagli Ungari.

Prologo

La lotta si accese feroce soprattutto in Puglia, dove, però, nella primavera del 1348, arrivarono massicci rinforzi ungheresi costituiti da un nerbo di 300 cavalieri ungari guidati dal Voivoda di Transilvania Stefano Laczkfy. In breve tempo egli ridusse alla sua obbedienza le città di Barletta, Trani, Bitonto, Giovinazzo, Molfetta e altri luoghi. Dopo di ciò avanzò su Aversa, da dove si spinse fino a Melito, alle porte di Napoli. I grandi baroni napoletani, raccolto un numeroso esercito, gli si fecero incontro per sbarragli la strada per la Capitale. L’armata del Voivoda – composta da Ungari e dalle compagnie di ventura italo-tedesche di Corrado Lupo (Konrad Wolfhardt di Bregenz), del famigerato duca Guarnieri (Werner von Urslingen, condottiero della Gran Compagnia, che si autodefiniva “nemico di Dio, della pietà e della misericordia”), e di Konrad Wirtinger von Landau detto il Conte Lando – si attestò ad Aversa. Qui tesero una trappola ai Napoletani facendo loro credere che nel proprio campo fosse scoppiato un aspro dissidio tra le truppe tedesche e quelle ungheresi. I Napoletani marciarono su Aversa, disponendo di un forte esercito condotto dai maggiori baroni del Regno – tra i quali ricordiamo Roberto e Ruggiero di Sanseverino, e Raimondo del Balzo maresciallo del Regno -, nonché da mercenari delle compagnie del tedesco conte di Sprech e di Guglielmo da Fogliano, e pensarono di approfittare subito della situazione, candendo così nel tranello. Era il 6 (sencondo altri il 5) giugno del 1349.

Battaglia

Nel frattempo, gli Ungari avevano fatto appostare fuori della città un corpo di circa 300 arcieri a cavallo guidati dal Landau, che, come vedremo, giocarono un ruolo risolutivo per il risultato della battaglia. Tale circostanza appare degna di nota in quanto costituisce una preziosa testimonianza del fatto che gli Ungheresi del XIV secolo, nonostante ormai combattessero con tecniche ed equipaggiamenti alla occidentale – basati sulla cavalleria pesante – ancora conservassero il retaggio degli antenati magiari, i quali utilizzavano la classica tattica degli arcieri a cavallo delle steppe asiatiche.
Gli Ungari uscirono da Aversa incontro al nemico a schiere. La prima fu quella dei Tedeschi di Corrado Lupo, che però in breve tempo fu sopraffatta dalla cavalleria napoletana, e lo stesso condottiero fu catturato. La qual cosa, tuttavia, invece di scoraggiare gli Ungari, li spronò alla riscossa. Sebbene inferiori di numero, si lanciarono con le altre loro schiere contro i Napoletani, ingaggiando una feroce mischia. In tale frangente entrarono in azione gli arcieri a cavallo, che, usciti dai loro nascondigli, presero alle spalle i Napoletani, saettandoli con le loro volée, che abbattevano cavalli e cavalieri. In tal modo l’esercito regio fu accerchiato e vedendo persa la giornata, cercò di ripiegare verso Napoli. Ma gli Ungari e i Tedeschi inseguirono prontamente i fuggitivi fin sotto le mura della Capitale, uccidendone molti e catturando il maggior numero di capi e di nobili dell’esercito del re, liberando lo stesso Corrado, prima catturato. Infine, tornarono in trionfo nella città di Aversa, portando con loro moltissimi cavalli e prigionieri. Il bilancio della giornata si concludeva con pesanti perdite da parte napoletana (circa mille uomini tra morti e prigionieri). Tra questi ultimi c’era il fiore della nobiltà napoletana: Raimondo del Balzo, Roberto e  Ruggiero di Sanseverino, Adamo de’ Visconti de-la-Tremblay, Giovanni e Rostaino Cantelmo, Giovanni di Lagonessa, e tanti altri nobili cavalieri Latini e Tedeschi per un ammontare di circa mille.

Fonti:

– Domenico da Gravina, Chronicon de rebus in Apulia gestis, a c. di A. Sorbelli, Rerum Italicarum Scriptores, XII, 3, Città di Castello 1903-1909.
-Matteo Villani, Cronica; con la continuazione di Filippo Villani, a c. di G. Porta, Guanda 1995.

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