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ROBERTO IL GUISCARDO. GESTA E IMPRESE DI UN CONQUISTATORE

Un mio nuovo libro, una biografia del grande normanno. Disponibile in edizione cartacea e ebook su Amazon.

Quella di Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo (“l’Astuto”), è stata una figura di primo piano nella storia d’Italia e d’Europa. Personaggio leggendario vissuto nell’XI secolo, la cui fama si diffuse per tutta la Cristianità, fu il principale artefice della conquista normanna del Mezzogiorno d’Italia. Partito dalla Normandia come umile cavaliere, accrebbe la sua potenza fino a impadronirsi di quasi tutto il Mezzogiorno e assumendo il titolo di “duca di Puglia, Calabria e Sicilia”. Le sue gesta di conquistatore lo videro vincere in battaglia le principali potenze politico-militari del suo tempo: dai due imperatori – quello del Sacro Romano Impero e quello di Bisanzio – ai Saraceni di Sicilia, ai Veneziani, nonché allo stesso Papato. Nell’arco di una trentina d’anni assediò e conquistò tre tra le maggiori metropoli dell’allora mondo euro-mediterraneo: Palermo, Salerno e Bari. Non pago dei trionfi ottenuti in Italia, invece di rimanere a coltivare e amministrare le sue conquiste, preferì rivolgere le sue mire addirittura verso il trono di Bisanzio, che cercò di strappare ad Alessio I Comneno, portando per ben due volte l’attacco al cuore dell’Impero, finché nell’ultimo tentativo vi trovò la morte. Fu dunque essenzialmente un conquistatore più che uno “statista”; tuttavia, le sue conquiste servirono a gettare le basi per l’istituzione di una delle più grandi e longeve monarchie d’Europa: il regnum Siciliae, fondato dal nipote Ruggero II.
La presente biografia, ripercorre tutte le sue gesta, imprese e battaglie, ma anche analizza le sue realizzazioni politiche e amministrative, nonché traccia un profilo dell’uomo e del condottiero: l’aspetto fisico, il carattere, i legami familiari. Tutto ciò in una prospettiva divulgativa accessibile a tutti, ma rigorosamente fondata sulle fonti storiche, dalle quali sono tratte ampie citazioni tradotte testualmente.

ARTICOLI SUI NORMANNI:

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Il libro delle gesta di Jean le Maingre detto Boucicaut: Biografia coeva dell’ultimo grande cavaliere medievale

UN NUOVO LIBRO, UNA NUOVA FONTE STORICA SULLA CAVALLERIA MEDIEVALE TRADOTTA PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIANO E RESA DISPONIBILE ALLA FRUIZIONE DEL GRANDE PUBBLICO. GIOSTRE, TORNEI, BATTAGLIE DI TERRA E DI MARE, I VALORI E LE VIRTU’ DI UN CAVALIERE NELL’ “AUTUNNO DEL MEDIOEVO”.

Le livre des fais du bon messire Jean le Maingre dit Bouciquaut, mareschal de France et gouverneur de Jennes ci è stato conservato da un unico manoscritto della Biblioteca Nazionale di Parigi, collezione francese 11432: manoscritto del XV secolo, su pergamena finissima, con 125 fogli, contenente questa unica opera. Il libro fu scritto tra il 1406 e il 1409, mentre il protagonista era governatore di Genova. Qui viene proposto per la prima volta nella traduzione italiana. La vita del protagonista rappresenta uno degli ultimi fulgidi esempi dei valori della Cavalleria medievale, vista alla luce sanguigna del suo tramonto. Tra le macerie della più lunga guerra della storia d’Europa (La Guerra dei Cent’anni), ai monti dei Balcani (la disastrosa sconfitta di Nicopoli), alle coste e ai mari del Vicino Oriente, fino alla polvere della sconfitta mangiata ad Azincourt, si dipanò la vita di colui che possiamo definire l’ultimo grande cavaliere medievale: Jean II le Meingre, detto Boucicaut.

CARTACEO E E-BOOK

ARTICOLI SULLA CAVALLERIA:

Antologia della Cavalleria (libro)
L’abbigliamento del cavaliere
Gli Statuti dell’Ordine cavalleresco dello Spirito Santo o del Nodo
La feroce condanna delle armi da fuoco di Ariosto
Due trovatori, due visioni opposte della guerra
Trilogia della Cavalleria (libri)
Il libro delle gesta di Jean le Maingre detto Boucicaut: Biografia coeva dell’ultimo grande cavaliere medievale
La polemica anti-inglese durante la Guerra dei Cento Anni
Ballata per la morte di Bertrand de Guesclin
Il dolore di una dama per il suo amore lontano alle Crociate
Consigli di un vecchio cavaliere a un giovane baccelliere
Il dilemma del cavaliere: meglio la fuga o la morte in battaglia?
Le domande per la giostra, il torneo e la guerra di Geoffroi de Charny Geoffroy de Charny, il cavaliere perfetto
L’investitura del cavaliere secondo il pontificale romano
La benedizione del cavaliere
Il cavaliere e l’adulterio
I duelli del “Pas d’Armes”

Il giuramento del Templare

La cerimonia di accoglienza del nuovo fratello nell’Ordine era lunga e complessa e gli Statuti del Tempio ne stabilivano meticolosamente la procedura. Al cospetto dell’intero Capitolo riunito per l’occasione, il neofita veniva sottoposto a una sorta di esame, durante il quale gli venivano poste una serie di domande codificate sulla sua condizione sociale e sulla sua moralità. Successivamente veniva edotto su ciò che lo attendeva nella sua nuova carriera che stava per iniziare, mettendolo di fronte alla cruda realtà della rigida vita monastica fatta di sacrificio, obbedienza e disciplina. Infine la cerimonia si concludeva col giuramento del novizio che qui riporto integralmente come tramandato dagli Statuti dell’Ordine:

Ora, caro fratello, ascoltate bene ciò che vi diremo: promettete voi a Dio e a Nostra Signora di obbedire per tutti i giorni della vostra vita al maestro del Tempio e a qualsiasi vostro superiore?» – Ed egli deve rispondere: «Sissignore, se Dio vuole»
– E ancora: «Promettete voi a Dio e alla Madonna di vivere in castità per tutti i giorni della vostra vita?»
– Ed egli deve rispondere: «Sissignore, se Dio vuole».
– Ancora: «Promettete voi a Dio e a Nostra Signora Santa Maria di vivere, per tutti i giorni della vostra vita, senza nulla di proprio?»
– Ed egli deve rispondere: «Sissignore, se Dio vuole».
– Ancora: «Promettete voi a Dio e alla Madonna di rispettare, per tutti i giorni della vostra vita, i buoni usi e costumi della nostra Casa, quelli fissati e quelli che il maestro e i gentiluomini della Casa stabiliranno?»
– Ed egli deve rispondere: «Sissignore, se Dio vuole».
– Ancora: «Promettete voi a Dio e alla Madonna che per tutti i giorni della vostra vita, con la forza del potere conferitovi da Dio, contribuirete alla conquista della Santa Terra di Gerusalemme e con la vostra forza aiuterete a difendere e proteggere le terre in possesso dei cristiani?»
– Ed egli deve rispondere:  «Sissignore,  se  Dio  vuole».
– Ancora: «Promettete voi a Dio e alla Madonna che giammai abbandonerete questo Ordine per uno più forte o più debole, né per uno peggiore o migliore, a meno che non lo facciate su permesso del maestro e del convento che hanno la facoltà di ordinarvelo?»
– Ed egli deve dire. «Sissignore, se Dio vuole».
– Ancora: « Promettete voi a Dio alla Madonna che non sarete mai in un luogo nel quale un cristiano sia privato, a torto e senza motivo, dei suoi averi con la vostra partecipazione o con il vostro consiglio?»
– Ed egli deve dire: «Sissignore, se Dio vuole».
– «E noi, in nome di Dio e di Nostra Signora Santa Maria, di nostro padre il papa e di tutti i fratelli del Tempio, ammettiamo a tutti i benefici della Casa – quelli stabiliti dalle origini e quelli futuri – voi, vostro padre, vostra madre  e  tutti coloro del vostro lignaggio che  vorrete accogliere. Allo stesso modo accogliete noi in tutti i benefici che avete ottenuto e che otterrete; e così vi promettiamo il pane, l’acqua, le povere vesti della Casa e molta pena e fatica».

Quindi colui che presiede il capitolo deve mettergli addosso il mantello allacciandolo; e il fratello cappellano deve recitare il salmo Ecce quam bonum e la preghiera dello Spirito Santo, e ciascuno dei fratelli deve recitare il Padrenostro. E colui che ordina il fratello deve farlo alzare e baciarlo sulla bocca; ed è uso che anche il fratello cappellano lo baci. In seguito, colui che ordina il fratello deve farlo sedere davanti a sé e deve dirgli: «Caro fratello, Nostro Signore ha esaudito il vostro desiderio e vi ha posto in sì bella compagnia quale è quella della Cavalleria del Tempio, per cui dovrete fare bene attenzione a non commettere mai cosa per la quale potreste perderla – dalla qual cosa Dio vi guardi – e noi vi diremo alcune di queste cose da ricordare circa le colpe che comportano la perdita della Casa e, in seguito, di quelle che comportano la perdita dell’abito.

(Mia traduzione dal francese antico contenuta nel mio libro: Il vero codice dei Templari, pp. 25-26)

ARTICOLI SUI TEMPLARI:

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il-giuramento-del-templare
templari-tra-digiuni-religiosi-e-necessita-belliche
gaza-e-i-templari
La ricezione dei nuovi fratelli nell’Ordine Teutonico
I cavalieri teutonici e la tavola d’onore
Un trovatore templare
Il gonfalone Beauceant in battaglia
Un mistero templare quasi svelato
Le origini di Ugo de pagani fondatore dei Templari
I Templari e il mare
Jacques de Molais sul progetto di unificazione tra Templari e Ospitalieri Dalla deposizione di Jacques de Molay al processo ai Templari
I Templari visti “da sinistra”
L’ultima disperata resistenza degli Ospitalieri ad Acri
Gli Ordini Monastico-Militari visti dai Musulmani
Un trovatore critica i Templari
La superiorità dei cavalieri degli Ordini Monastico-Militari
L’inventario di una Casa templare d’Aragona
La testimonianza di un Templare al processo di Brindisi
Disciplina monastica e disciplina militare nell’esperienza templare
Origini e fama dei Templari nella “Historia Hierosolymitana” di Jacques de Vitry
L’incipit della Regola templare, nella versione francese
Chi erano i-Turcopoli
La ballata del templare innamorato
Alle origini dei cavalieri Templari: la difesa armata del pellegrinaggio

Un problema della vita militare dei Templari: l’alitosi …😊

La Regola e gli Statuti dei Cavalieri del Tempio contenevano tutta una serie di norme che regolamentavano la vita conventuale e militare dei fratelli finanche negli aspetti più minuziosi. Tra quelle riguardanti l’igiene e la sanità ne troviamo una alquanto singolare che ci farà sorridere, ma che, se riflettiamo aveva il suo perché in un ambiente dove i fratelli vivevano a stretto contatto uno con l’altro, di notte e di giorno.

L’articolo recitava così:

Se accade che un fratello abbia l’alito così pesante che gli altri fratelli non riescano a sopportarlo, né i medici riescano a guarirlo, lo si deve mettere in un luogo isolato e dargli le cose di cui avrà bisogno, così come a un qualsiasi fratello, e deve poter indossare il suo abito. E quando sarà guarito dovrà ritornare alla compagnia dei fratelli.

In effetti, negli Statuti francesi un altro articolo elencava i casi di isolamento così, non contemplando l’alitosi:

I fratelli che saranno gravemente feriti o affetti da dissenteria, da vomito, da delirio o da altri gravi malanni per i quali gli altri fratelli non possono sopportare la loro compagnia, dovranno essere collocati in una stanza quanto più prossima all’infermeria, finché non saranno guariti e potranno essere tollerati dagli altri fratelli

L’articolo sull’alitosi è invece contemplato in un altra versione degli Statuti, quella franco-catalana.

vedi Il Vero Codice dei Templari, pp. 71 e 175

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Un singolare duello tra un arciere turco e uno gallese

Siamo davanti alle mura di Acri nel 1191, durante la Terza Crociata. Le truppe di Riccardo Cuor di Leone assediano la città che era stata conquistata dalle armate di Saladino dopo la caduta di Gerusalemme. Gli arcieri dei due schieramenti si sfidano da lontano dando prova della loro abilità nel tiro con l’arco. Da una parte i “longbow” inglesi, dall’altra gli archi compositi orientali. Ad un certo punto un arciere turco esce dai ranghi, si fa avanti, e ad alta voce sfida un arciere gallese a un singolare duello con arco e frecce. Ecco il racconto del fatto in una cronaca crociata del tempo:

Quindi il Turco dichiarò una tregua, si avvicinò finché non fu a portata d’orecchio e iniziò a negoziare con lui. “Da quale paese vieni?”, chiese. “Come ti chiami?” Mi farebbe un grande piacere saperlo, perché ho sicuramente scoperto che sei un valoroso arciere. Affinché tu possa rivelarmi più volentieri ciò che ti chiedo, lascia che ti dica che sono un Turco, addestrato nell’arte del tiro con l’arco fin dall’infanzia, mi chiamo Grammahyr. La mia reputazione è grande tra la nostra gente, perché sono famoso per le mie gesta straordinarie e distinto per le mie vittorie.”
Il gallese gli disse la sua patria e il suo nome.
“Dimostriamo”, disse il Turco, “chi di noi è più esperto in quest’arte? Lo faremo ciascuno tendendo il suo arco e scoccando a turno una singola freccia contro l’altro. Tu starai fermo per primo e io ti scaglierò la prima freccia, e poi sarò io il bersaglio e tu tirerai a me allo stesso modo”.
Il Gallese acconsentì. Allora il Turco incoccò una freccia, divaricò i piedi come richiede quell’arte, allargò le mani, gli occhi sul bersaglio, e tese l’arco: ma la freccia volò nel vuoto, senza penetrare nulla. Il Gallese, illeso, pretese la sua parte di accordo.
“Non lo farò”, rispose il Turco. “puoi affrontare un’altra freccia, e poi ne farò scagliare due da te.”
“Non rispetti l’accordo”, rispose il Gallese. “Non stai rispettando i termini che hai stabilito, ma se non affronti il tuo turno, ti do la mia parola che rinvierò la punizione che Dio potrebbe richiedere per i tuoi trucchi, fino al momento in cui Egli vorrà.”
Le parole erano appena uscite dalla sua bocca quando in un batter d’occhio tirò una freccia dritta al petto di quel Turco, proprio mentre questi cercava nella faretra un dardo adatto da tirare contro il suo avversario. Poiché nessun osso ne impediva la corsa, la freccia attraversò il corpo del turco e gli uscì dalla schiena.
Allora il Gallese disse: “Tu non hai rispettato l’accordo, quindi io non ho mantenuto la mia parola”.

Tratto da:
Itinerarium peregrinorum et gesta regis Ricardi, Volume 1 di Chronicles and memorials of the reign of Richard I, a c. di W. Stubbs, London 1864, pp. 108-109.

Gaza e i Templari

Ciò che rimane della moschea di al-Omari a Gaza in seguito ai bombardamenti israeliani degli ultimi mesi. La moschea sorgeva sui resti della cattedrale di San Giovanni Battista edificata dai Templari nel XII sec.

La città di Gaza in Palestina, assurta a protagonista dei tragici fatti di questi ultimi mesi, fu, nel Medioevo, un centro nevralgico nel conflitto tra gli stati crociati e quelli musulmani di Terra Santa. La sua posizione geografica la collocava al confine tra il regno latino di Gerusalemme e il califfato fatimite del Cairo: “ultima regni civitas” la definiva il cronista delle Crociate Guglielmo di Tiro. Per questo motivo, nel 1149, il re di Gerusalemme Baldovino la affidò ai cavalieri Templari affinché la fortificassero e la difendessero. Infatti, i Templari, e in parte anche gli Ospitalieri, avevano assunto in Terra Santa il ruolo di costruttori e difensori delle fortezze di frontiera, e così avevano fatto anche ad est e a nord, negli altri principati crociati, edificando vari castelli noti per la loro forza e imponenza.

Nel 1170 i Templari completarono la costruzione di una fortezza a Gaza, ma subito si trovarono a fronteggiare la grave minaccia del Saladino che aveva iniziato ad attaccare il regno di Gerusalemme dall’Egitto. Un grande esercito egiziano fece la sua comparsa davanti a Daron (odierna Dayr al-Balah, al centro della Striscia di Gaza) la più meridionale delle fortezze franche sulla costa mediterranea. Il re di Gerusalemme Amalrico, si affrettò ad accorrere verso Ascalona (la città dirimpettaia di Gaza, da sempre contesa da Cristiani e Musulmani) con un piccolo ma agguerrito esercito; vi giunse il 18 dicembre e proseguì verso la fortezza dei Templari di Gaza, dove lasciò Miles di Plancy a guardia, mentre i cavalieri dell’Ordine si univano a lui nella marcia verso Daron. Egli riuscì ad aprirsi un varco attraverso l’esercito egiziano e a entrare in città, al che Saladino levò l’assedio e marciò su Gaza. La città bassa venne occupata, malgrado un’inutile resistenza ordinata da Miles, e i suoi abitanti vennero massacrati. Ma il castello templare era così poderoso che Saladino non osò attaccarlo e perciò, improvvisamente come era giunto, scomparve oltre la frontiera egiziana.

Un nuovo assalto contro Gaza e le zone limitrofe fu lanciato dal Saladino nel 1177. I Templari giocarono un ruolo chiave nella difesa contro le forze musulmane, unendo le proprie truppe a quelle del re Baldovino IV di Gerusalemme per ottenere una clamorosa vittoria nella battaglia detta di Montgisard. Saladino aveva attraversato la frontiera dell’Egitto il 18 novembre. Per difendere Gaza i Templari convocarono tutti i cavalieri dell’Ordine disponibili, ma l’esercito egiziano marciò direttamente su Ascalona. Con le truppe che poté raccogliere, cinquecento cavalieri in tutto, e con il vescovo di Betlemme che portava la Vera Croce, Baldovino si precipitò verso Ascalona ed entrò nella fortezza poco prima che vi giungesse il nemico. Baldovino riuscì a mandare un messaggio ai Templari, in cui diceva loro di abbandonare Gaza e di raggiungerlo. Quando essi furono vicini, egli si aprì un varco tra le linee degli assediami, uscì da Ascalona e risalì la costa con tutti i suoi uomini fino ad Ibelin, poi si volse verso l’interno. Qui, Il 25 novembre l’esercito egiziano stava attraversando un burrone vicino al castello di Montgisard, alcune miglia a sud di Ramalah, quando all’improvviso i cavalieri cristiani si precipitarono loro addosso giungendo da nord. La sorpresa fu completa. Molti di essi fuggirono prima ancora dello scontro iniziale e Saladino stesso si salvò a stento, e le truppe rimaste ferme al loro posto vennero quasi del tutto annientate.

Il trionfo dei Templari fu però di breve durata. Nel luglio del 1187, l’esercito di Gerusalemme subì un devastante sconfitta nella battaglia di Hattin nel luglio 1187. Quasi tutti i cavalieri Templari che avevano combattuto in quella battaglia furono passati per le armi dal Saladino. Uno dei pochi risparmiati fu il loro maestro Gerardo de Ridefort e i Templari furono costretti a trattare il suo rilascio cedendo in cambio il controllo di Gaza. Successivamente Saladino ordinò la distruzione delle fortificazioni della città.

Nel 1192 la città tornò per un breve periodo in mani cristiane grazie a Riccardo Cuor di Leone durante una successiva crociata, ma costui fu costretto poi a renderla ai musulmani in seguito a un trattato. Infine, nel 1244 fu completamente devastata dai Carismiti.

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Templari: tra digiuni religiosi e necessità belliche

La Regola del Tempio prevedeva una serie di digiuni da effettuarsi nelle date canoniche della liturgia cristiana. Per il resto la dieta seguita dai fratelli era parca, ma al tempo stesso completa: carne, pesce, grassi ecc. Tuttavia, a volte, il troppo zelo poteva costare caro a chi si fosse ostinato, per eccesso di trasporto religioso, a digiuni stretti e prolungati, e ce lo ricorda un noto predicatore medievale, Giacomo di Vitry, il quale, in uno dei suoi tanti sermoni tramandatici, ricorda come l’attività militare fosse inconciliabile con i digiuni troppo stretti.

“Vediamo Infatti alcuni cavalieri del nostro Ordine, così ferventi nel digiuno e nell’afflizione del proprio corpo, che nelle armi e nelle battaglie contro i musulmani facilmente soccombevano per eccessiva debolezza. Donde abbiamo sentito parlare di un uomo molto religioso, ma non secondo scienza, che in una battaglia con i Saraceni, cadde da cavallo al primo colpo di lancia.
Un suo confratello lo sollevò da terra con grande pericolo della propria persona, ma questi subito cadde di nuovo per un altro colpo, e fu di nuovo rialzato dal confratello, e costui gli disse che già due volte lo aveva sollevato e salvato dalla morte, rimproverandolo per il suo smodato digiuno: “Signore del pane e dell’acqua”, gli disse, “abbi cura di te d’ora in poi, perché se cadrai ancora , non risorgerai mai più con il mio aiuto ”. Lo chiamò “Pane e Acqua”, perché con i frequenti digiuni a pane e acqua aveva talmente indebolito il suo corpo da renderlo inservibile a combattere. Non dovreste mettere alla prova Dio, ma fare ciò di cui siete capaci con il Cielo che vi apre la strada, e poi potrete tranquillamente ricevere la morte per amore di Cristo. Ogni volta che delle persone muoiono per la difesa della Chiesa sono considerate martiri.”

Tratto da The exempla or illustrative stories from the Sermones vulgares of Jacques de Vitry, a c. di T.F. Crane, London 1890. (mia trad. dal latino)

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Federico II informa il re d’Inghilterra del trattato di pace su Gerusalemme

Con questa lettera Federico II informa Enrico III, re d’Inghilterra che il 18 febbraio del 1229 – a seguito della Crociata da lui condotta, che si era conclusa senza combattere e con un proficuo trattato di pace col sultano Al- Kamil – aveva ottenuto la restituzione di Gerusalemme e altri luoghi sacri della Terra Santa. La lettera ci è stata tramandata dal cronista inglese Roger of Wendover e in essa si riconosce la prosa ampollosa e al tempo stesso vigorosa del cancelliere di Federico, Pier delle Vigne. La riporto qui in una mia traduzione italiana.

“Federico, per grazia di Dio, imperatore sempre augusto, re di Gerusalemme e di Sicilia, al suo carissimo amico Enrico, re degli inglesi, salute e affetto sincero.

Tutti si rallegrino ed esultino nel Signore, e i retti di cuore glorifichino Colui che, per far conoscere la Sua potenza, non si vanta di cavalli e carri, ma ha ora guadagnato gloria per sé stesso, con la scarsità dei suoi soldati, affinché tutti sappiano e comprendano che Egli è glorioso nella Sua maestà, terribile nella Sua magnificenza e meraviglioso nei Suoi piani sui figli degli uomini, cambiando le stagioni a piacimento e riunendo i cuori di diverse nazioni; poiché in questi pochi giorni, più per miracolo che per forza, sono stati portati a termine quegli affari che per molto tempo molti capi e governanti del mondo tra la moltitudine di nazioni, non sono mai stati in grado fino ad ora di portare a termine  né con la forza, per quanto grande, né con la paura.

Per non tenervi, dunque, in sospeso con un lungo resoconto, desideriamo informare la santità vostra, che noi – riponendo fermamente la nostra fiducia in Dio e credendo che Gesù Cristo, suo figlio, al cui servizio abbiamo così devotamente esposto i nostri corpi e vite, non ci abbandonerebbe in questi paesi sconosciuti e lontani, ma ci darebbe almeno un sano consiglio e assistenza per il suo onore, lode e gloria – coraggiosamente nel Suo nome, il quindicesimo giorno del mese di novembre ultimo passato, partiti da Acri arrivammo sani e salvi a Giaffa, con l’intenzione di ricostruire il castello in quel luogo con le dovute forze, affinché in seguito l’avvicinamento alla città santa di Gerusalemme potesse essere non solo più facile, ma anche più breve e più sicuro per noi e per tutti i Cristiani .

Mentre, quindi, eravamo con la fiducia della nostra speranza in Dio impegnati a Giaffa, con l’intenzione di ricostruire il castello e la causa di Cristo – come necessità richiedeva, e come era nostro dovere – e mentre tutti i nostri pellegrini erano attivamente in ciò impegnati, spesso diversi messaggeri andavano avanti e indietro tra noi e il sultano di Babilonia; poiché lui e un altro sultano chiamato Xaphat, suo fratello, erano con un grande esercito nella città di Gaza, distante circa un giorno di viaggio da noi; e altrove, nella città di Sichen, che comunemente viene chiamata Neapolis, e situata nella pianura, si trovava il sultano di Damasco, suo nipote, con un immenso numero di cavalieri e soldati, anch’essi a circa una giornata di viaggio da noi e dai Cristiani.

E mentre le trattative erano in corso tra le due parti circa la restituzione della Terra Santa, alla fine Gesù Cristo, il Figlio di Dio, osservando dall’alto la nostra devota resistenza e paziente devozione alla Sua causa, nella Sua misericordiosa compassione, alla fine fece sì che il sultano di Babilonia ci restituisse la città santa, il luogo che fu calcato dai piedi di Cristo, e dove i veri adoratori adorano il Padre in spirito e verità.

Ma affinché possiamo informarvi dei particolari di queste restituzioni, sappiate che non solo ci è stato restituito l’intero corpo della suddetta città, ma anche tutto il paese che si estende da lì fino ai pressi del castello marittimo di Giaffa, affinché per il futuro i pellegrini abbiano libero passaggio e ritorno sicuro da e per il Sepolcro; a condizione però che i Saraceni di quella parte del paese, poiché tengono il tempio in grande venerazione, possano venire là quante volte vorranno come pellegrini, per adorare secondo il loro costume; a patto che ne vengano solo quanti ne accetteremo e senza armi, né che costoro dimorino in città, ma fuori, e non appena abbiano compiuto la loro devozione se ne vadano.

Inoltre ci è stata restituita la città di Betlemme e tutto il paese tra essa e Gerusalemme; come anche la città di Nazareth, e tutto il paese tra Acri e quella città; tutto il distretto di Turon, che è molto esteso e molto vantaggioso ai cristiani; ci è stata consegnata, inoltre, anche la città di Sidone con tutta la pianura e le sue pertinenze, la quale sarà tanto più gradita ai Cristiani quanto più è parsa vantaggiosa fino ad ora ai Saraceni, tanto più che vi è un buon porto lì, e da lì grandi quantità di armi e beni di prima necessità potevano essere trasportati alla città di Damasco, e spesso da Damasco a Babilonia. Secondo i patti c’è consentito anche di riportare la città di Gerusalemme al migliore stato, e anche i castelli di Giaffa, Cesarea, Sidone e quello di Santa Maria dell’Ordine Teutonico, che il fratelli di quell’ordine hanno cominciato a costruire nel distretto montuoso di Acri, cosa che non è mai stato permesso di fare ai Cristiani durante nessuna precedente tregua; tuttavia al sultano non è permesso, fino alla fine della tregua tra lui e noi, concordata per dieci anni, riparare o ricostruire fortezze o castelli.

E così domenica, diciotto febbraio scorso, che è il giorno in cui Cristo, il Figlio di Dio, è risorto dai morti e che, in memoria della sua risurrezione, è solennemente custodito e santificato da tutti i Cristiani in generale in tutto il mondo, questo trattato di pace è stato confermato da un giuramento tra noi. Davvero, dunque, su di noi e su tutti sembra aver brillato propizio quel giorno in cui gli angeli cantano in lode di Dio: «Gloria a Dio nell’alto dei cieli, e sulla terra pace agli uomini di buona volontà». E in riconoscimento di tanta bontà e di tanto onore, che, al di là dei nostri meriti e contrariamente al parere di molti, Dio ci ha misericordiosamente conferito, a perenne fama della sua compassione, e affinché nel suo santo luogo potessimo personalmente offrirgli l’olocausto delle nostre labbra, sia noto a voi che il diciassette del mese di marzo di questa seconda indizione, noi, insieme a tutti i pellegrini che avevano seguito fedelmente con noi Cristo, Figlio di Dio , entrammo nella città santa di Gerusalemme e, dopo aver adorato al Santo Sepolcro, noi, come imperatore cattolico, il giorno successivo, indossammo la corona, che Dio Onnipotente ci ha fornito dal trono di Sua Maestà, quando del Suo speciale grazia, ci ha esaltati tra i prìncipi del mondo; così che, mentre abbiamo sostenuto l’onore di questa alta dignità, che ci appartiene per diritto di sovranità, è sempre più evidente a tutti che la mano del Signore ha fatto tutto questo; e poiché le Sue misericordie sono su tutte le Sue opere, gli adoratori della fede ortodossa sappiano ormai e dicano in lungo e in largo in tutto il mondo, che Lui, il Benedetto nei secoli, ha visitato e redento il Suo popolo, e ha risuscitato il suo popolo, angolo di salvezza per noi nella casa di Davide suo servo.

E prima di lasciare la città di Gerusalemme, abbiamo deciso di ricostruirla magnificamente, con le sue torri e le sue mura, e intendiamo sistemare le cose in modo che, durante la nostra assenza, non ci sarà meno cura e diligenza necessaria nell’impresa, di quella se fossimo presenti di persona. Affinché questa nostra lettera sia piena di esultanza in ogni sua parte, e così una felice fine corrisponda al suo felice inizio, e rallegri la tua mente reale, desideriamo che tu sappia, nostro alleato, che il detto sultano è tenuto a restituire a noi tutti quei prigionieri che non consegnò, secondo il trattato stipulato tra lui e i Cristiani, quando perse Damietta qualche tempo fa, e anche gli altri che da allora sono stati presi.

Dato nella città santa di Gerusalemme, il diciassette del mese di marzo, nell’anno di Nostro Signore nostro Milleduecentoventinove.”

tratto da: Ruggero di Wendover, Flores historiarum, MGH SS, XXVIII, a cura di F. Liebermann-R. Pauli, 1888 (1975), pp. 21-73.

Lamento dell’amante del Crociato partito per la Terra Santa

Rinaldo d’ Aquino, esponente della Scuola poetica siciliana, contemporaneo di Federico II e degli altri più famosi poeti della Scuola (Iacopo da Lentini ecc.) è l’autore di questa dolente canzone nella quale una dama si lamenta per la forzata e amara separazione  dal suo amato in partenza per la Crociata. Questa doveva probabilmente essere proprio quella del 1228 condotta ob torto collo dallo stesso Imperatore. Il motivo è simile a molti altri componimenti trovadorici in lingua d’Oil e d’Oc del tempo (vedi: https://storiamilitaremedievale.wordpress.com/2020/11/29/il-dolore-di-una-dama-per-la-lontananza-del-suo-amore-alle-crociate/)

Lamento dell’amante del Crociato partito per la Terra Santa

I
Giammai non mi conforto,
Né mi voglio rallegrare:
Le navi son andate al porto,
E vogliono salpare,
Se ne va la migliore gente
In terra d’ Oltremare
Oimè, infelice e dolente,
Como devo fare?

II
Se ne va in altro Paese,
E non me lo manda a dire:
Ed io resto ingannata,
Tanti son i sospiri,
Che mi fanno gran guerra
La notte e il dì,
Né in cielo né in terra
Non mi par ch’ io sia,

III
Santus, santus, santus Deo,
Che nella Vergine t’incarnasti,
Salva e guarda l’amor mio,
Poiché da me lo separasti.
Oh alta Potestà
Temuta e dotta,
Il mio dolce amico
Ti sia raccomandato!

IV
La croce salva la gente,
Invece a me fa penare:
La croce mi fa dolente;
E non mi vale Dio pregare.
Oi, croce pellegrina,
Perché m’ hai sì distrutta?
Oimè, infelice tapina!
Che ardo e incendio tutta!

V
L’Imperatore in pace
Tutto il mondo tiene,
E a me guerra face;
Che m’à tolta la mia speranza.
Oh, alta Potestà
Temuta e dotta,
Il mio dolce amico
Vi sia raccomandato!

Il testo qui proposto è una mia trasposizione in italiano moderno basata sull’edizione di Annalisa Comes, in Poeti della Scuola Siciliana, vol. II Poeti della corte di Federico II, a c. di C. Di Girolamo, Mondadori

amore e cavalleria-secondo geoffroi de charny
amore-fedele-e-amore-infedele-nel-libro-delle-cento-ballate/
chi-era-il-migliore-amante-il-chierico-o-il-cavaliere-due-damigelle-disputano-sullargomento/
il-contrasto-tra-l’amor-cortese-e-la-realta-della-guerra/
un-trovatore-templare
una-dama-maledice-gerusalemme-per-avergli-strappato-il-suo-amore-crociato/
https://wordpress.com/block-editor/post/storiamilitaremedievale.wordpress.com/821

Il lungo conflitto tra le civiltà nomadi e quelle sedentarie

Gran parte della storia del continente euro-asiatico, può essere interpretata in termini di un costante conflitto tra popolazioni sedentarie e nomadi. Queste ultime hanno esercitato, nel corso dei secoli, una costante pressione verso le più ricche ed evolute civiltà stanziali: per secoli i grandi imperi riuscirono a contenere la pressione dei nomadi a costo di grandi investimenti militari, ma in molte occasioni le dighe reali e metaforiche cedettero e ciò segnò il corso di cambiamenti epocali; basti ricordare i casi della “caduta” dell’impero romano e di quello cinese. I primi a muoversi furono gli Unni (Hsiung-nu), che si diressero sia verso occidente – causando una sorta di reazione a catena che spinse le tribù germaniche seminomadi a riversarsi sull’impero romano – sia verso sud, investendo le regioni civilizzate della Cina e dell’India ecc.). Seguirono e gli Avari (Juan-Juan), che si scontrarono con il nuovo impero romano (quello carolingio). Infine vennero i Mongoli che, oltre a conquistare l’immenso impero cinese, tennero a lungo in scacco le altre due grandi potenze “sedentarie” di quei tempi: l’Occidente cristiano e l’impero arabo-islamico. In questo scenario il ruolo fondamentale fu giocato dall’immensa distesa conosciuta come steppa asiatica, che si estendeva dalla Putsa ungherese fino alla Mongolia. Qui il cavallo trovava il suo habitat naturale, grazie alle grandi distese di pascolo pianeggianti, e divenne il compagno inseparabile dei popoli pastori e cacciatori. I piccoli e veloci cavalli della steppa e i corti e potenti archi compositi, insieme formarono una formidabile macchina da guerra, che andò a scontrarsi, a più riprese nei secoli, con la “pietra” dei castelli e il “ferro” delle corazze delle grandi civiltà sedentarie.

Trilogia: I Normanni del Sud. Alcuni grandi personaggi italonormanni e le loro imprese militari nel Mezzogiorno e oltre.

ARTICOLI SUI NORMANNI:

“Terror mundi”. Roberto il Guiscardo: “Il Terrore del mondo”

Sulla tomba di Roberto il Guiscardo, sepolto nella cattedrale della SS. Trinità di Venosa, campeggiava questo epitaffio, poi scomparso e pervenutoci grazie alla testimonianza di alcuni cronisti: “HIC TERROR MUNDI GUISCARDUS (QUI) EXPULIT URBE QUEM LIGURES REGEM, ROMA, (A)LEMANNUS, HABET. PARTHUS, ARABS, MACEDUMVE FALANX NON TEXIT ALEXIM, AT FUGA, SED VENETUM NEC FUGA NEC PELAGUS.” (“Qui giace il terrore del mondo Guiscardo, che scacciò dall’Urbe colui che Liguri, Roma, i Tedeschi avevano come re. La falange dei Parti, degli Arabi e dei Macedoni non valse a proteggere Alessio, ma solo la fuga; ma ai Veneziani non valse né la fuga né il mare”). I riferimenti sono alla fama acquisita da colui che solo poteva vantarsi di aver messo in fuga, nell’arco di un breve tempo, i due più potenti signori del mondo: l’imperatore del Sacro Romano Impero Enrico IV, e l’imperatore bizantino Alessio Comneno.

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